Dallo spreco al capolavoro: Valeria Sechi e l’evoluzione della sartoria circolare

Dallo spreco al capolavoro: Valeria Sechi e l’evoluzione della sartoria circolare

di Pietro Vivone
Nella cornice della campagna “M’Illumino di meno”, che quest’anno ha scelto di porre l’accento sul tema del fast fashion, abbiamo avuto il piacere di intervistare Valeria Sechi, fondatrice del brand VIPUNTOZERO. Da anni Valeria porta avanti un progetto di recupero e valorizzazione di tessuti e capi usati, con l’obiettivo di sensibilizzare il pubblico verso un consumo più etico e responsabile.L’intervista esplora il percorso di Valeria, la nascita della sua passione per il riuso e la circolarità, e offre interessanti spunti su come cambiare il nostro approccio all’acquisto di abbigliamento. Una conversazione che va dritta al cuore di uno dei temi più attuali: come possiamo, concretamente, contribuire a ridurre gli sprechi e promuovere una cultura dell’abbigliamento più sostenibile?

Intervista

Inizio, in modo diretto, chiedendoti come è nata la tua passione per il recupero e la valorizzazione dei capi usati, per donare loro una nuova vita?

Nasce dall’idea che dovremmo tutti riscoprire il senso del valore intrinseco delle cose. Un valore che parte innanzitutto dal materiale di cui un oggetto è fatto. Se pensiamo, ad esempio, a un anello d’oro appartenuto magari alla nonna, anche se non lo indosseremmo mai, non ci passa per la testa di buttarlo perché riconosciamo il pregio dell’oro in sé. Lo stesso dovrebbe valere per i tessuti, soprattutto se di qualità.
Un tempo, infatti, si facevano vestiti che duravano anni, anche grazie a tessuti pregiati. Con l’avvento del consumismo e delle materie sintetiche, invece, l’abbigliamento ha perso molto del suo valore di base. Io mi sono resa conto di questa situazione fin da ragazza: avevo cappotti di mia nonna che, nonostante gli anni, avevano ancora un tessuto resistente. Da qui è nata la voglia di recuperare e rielaborare i materiali di pregio per restituirgli dignità e vita.


 Puoi raccontarci come è nato il brand VIPUNTOZERO?

VIPUNTOZERO nasce prima come associazione, per poi diventare un vero e proprio brand. All’inizio il progetto è stato piuttosto tormentato e ha subito diverse trasformazioni, ma l’idea di base è rimasta sempre la stessa: recuperare il valore intrinseco dei tessuti e creare pezzi unici.
Con VIPUNTOZERO voglio ricordare a tutti noi che ogni essere umano è unico e irripetibile, proprio come ogni capo realizzato a partire da materiali riciclati. Oltre all’aspetto etico, c’è anche quello estetico e funzionale: mi piace pensare a creazioni che siano belle da indossare e allo stesso tempo sostenibili, perché ognuno di noi, in fondo, quando acquista, non lo fa soltanto per necessità ma anche per piacere personale.


A proposito di acquisti e fast fashion, hai dei consigli da dare ai nostri lettori per cambiare mentalità e ripensare il proprio modo di vestire?

Credo sia fondamentale, prima di tutto, chiedersi se ciò che stiamo per comprare ci rappresenta davvero. Quando parliamo di abbigliamento, non parliamo solo di identità individuale, ma anche sociale e culturale.
Prendiamo il caso di una maglietta venduta a pochi euro: dietro quel prezzo irrisorio, il più delle volte, si nascondono sfruttamento e condizioni di lavoro inaccettabili. Acquistare un capo del genere, secondo me, equivale a “indossare la schiavitù”.
Quindi, se non compriamo per necessità (e ormai accade di rado), facciamolo in maniera consapevole. Poniamoci domande sui materiali, sulla provenienza e, soprattutto, sul valore umano che c’è dietro la produzione. Dobbiamo educare noi stessi e i più giovani, che rappresentano la fascia d’età su cui il fast fashion fa più presa: quella dai 10 ai 16 anni. L’”educazione silenziosa” di cui parlano i pedagogisti, basata su ciò che si fa più che su ciò che si dice, è un punto di partenza fondamentale.


L’Italia, storicamente, è sinonimo di alta moda e qualità artigianale. Come si inserisce però nel discorso del fast fashion?

Le principali catene di fast fashion non sono italiane, è vero, ma anche molti grossi brand nazionali hanno delocalizzato la produzione all’estero, dove i costi di manodopera sono più bassi. Questo ha portato a un aumento della produzione, seppur non alle 52 collezioni l’anno (una a settimana) di alcuni marchi internazionali.
Tuttavia, anche l’alta moda ha inseguito il ritmo forsennato del fast fashion, nel tentativo di accontentare i consumatori sempre più “affamati” di novità. Un tempo si facevano due collezioni l’anno (autunno-inverno e primavera-estate), oggi alcuni marchi arrivano a presentarne una a settimana, un ritmo insostenibile per il pianeta.
In più, bisogna considerare la diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie. Non tutti possono permettersi capi artigianali o creati con materiali sostenibili, e questo è un problema che la politica e le istituzioni dovrebbero affrontare con agevolazioni e incentivi dedicati a chi produce in modo circolare e responsabile.


Hai parlato di artigianato e formazione dei giovani. Che consiglio daresti a chi vuole intraprendere un percorso in questo settore?

Il lavoro artigianale si impara sul campo. Esistono corsi professionali validi, ma poi c’è bisogno di botteghe, laboratori e realtà dove mettere in pratica ciò che si è appreso. Purtroppo, spesso chi fa uno stage o un tirocinio viene sfruttato invece di essere formato.
Nel mio laboratorio ho ospitato diversi ragazzi in alternanza scuola-lavoro, e certo, per me è stato un grande impegno: seguendoli, rallentavo il mio lavoro quotidiano. Ma se noi artigiani non ci impegniamo, non ci sarà quel passaggio di competenze necessario a creare una nuova generazione di professionisti della circolarità. È un investimento a lungo termine sulla cultura, che potrà davvero invertire la rotta.


Credi che ci siano iniziative che i produttori o i rivenditori possano mettere in campo per sostenere questa transizione verso prodotti più durevoli e tracciabili. Uno degli strumenti di cui si parla è quello della tracciabilità e della block chain, che consentirebbe di seguire ogni fase della produzione e del percorso di un capo. Cosa ne pensi?

L’idea di base è valida, ma serve l’interesse concreto dei consumatori a verificare le informazioni riportate.
Se non educhiamo il pubblico a leggere le etichette o a capire come è stato realizzato un vestito, la tracciabilità da sola non basta. Dobbiamo partire molto prima: dalla scuola materna, insegnando ai più piccoli il valore delle cose, come si producono, quanto lavoro serve per realizzarle e quali sono le conseguenze di un acquisto “senza testa”.


Quali sono invece i prossimi passi per VIPUNTOZERO? Hai qualche novità in cantiere?

Sto per lanciare una nuova linea dedicata alla casa. Finora mi sono concentrata sugli accessori da indossare – in primis le mie amate cravatte, che recupero ovunque possa trovarle e poi trasformo in stole, gorgiere e altri capi unici. Ne ho circa cinquemila in laboratorio!
La linea casa richiede molto tempo e dedizione, perché anche in questo caso ogni pezzo sarà unico, fatto interamente a mano, e le persone dovranno imparare ad aspettare. Il mio sogno è proprio questo: che si torni ad acquistare in modo ragionato e consapevole, anche aspettando mesi per avere un oggetto realizzato su misura. Un approccio del genere sconfiggerebbe gli acquisti di impulso e ridurrebbe drasticamente gli sprechi.


Grazie per il tuo tempo e per questa preziosa testimonianza, Valeria. Speriamo di riuscire a trasferire ai lettori la passione che metti in quello che fai.

Grazie a te, Pietro. Spero davvero che il mio racconto possa essere d’ispirazione e che sempre più persone scelgano di valorizzare l’abbigliamento e gli oggetti recuperati, dedicando loro una nuova vita.

Conclusione

L’intervista a Valeria Sechi di VIPUNTOZERO ci ricorda quanto sia importante recuperare il senso del valore intrinseco dei materiali, ma anche rivedere la nostra cultura degli acquisti. Il fast fashion non è soltanto una questione di prezzi bassi o di tendenze passeggere, ma un fenomeno che coinvolge etica, sostenibilità e responsabilità sociale.

La sfida, come ci suggerisce Valeria Sechi, è formare e informare i consumatori sin dalla giovane età, affinché si sviluppi una maggiore consapevolezza del processo produttivo e dell’impatto dei nostri acquisti sul pianeta. Nel frattempo, il lavoro di artigiani e piccole realtà come VIPUNTOZERO mostra concretamente che un’alternativa esiste: capi unici, creati recuperando tessuti e oggetti destinati all’oblio, capaci di raccontare storie e di ridurre lo spreco. È un percorso forse più lento rispetto ai grandi numeri della produzione intensiva, ma sicuramente più etico e rispettoso dell’ambiente. E, in fondo, aspettare un po’ di più per avere un oggetto davvero unico è parte di quel “ritorno al valore” di cui tutti, forse, sentiamo il bisogno.

 


Chi è Valeria Sechi

Valeria Sechi: un ritratto di forza, autenticità e rinascita

Valeria Sechi, classe 1966, è una donna che incarna perfettamente l’idea di “late bloomer”: fiorisce in una fase della vita in cui, spesso, la società si aspetta che le donne si mettano da parte. Nata in Sardegna e trasferitasi a Brescia, Valeria proviene da una tradizione matriarcale che ha forgiato il suo spirito indipendente e combattivo.

Madre di cinque figli, ha vissuto un’esistenza che lei stessa definisce “diversamente facile”, superando ostacoli che l’hanno condotta a rimettersi in gioco dopo i cinquant’anni con una determinazione esemplare. È stato proprio allora, infatti, che ha intrapreso la carriera di modella, con l’obiettivo di diventare la testimonial che lei stessa avrebbe voluto vedere nelle campagne pubblicitarie: una donna capace di rappresentare al meglio la bellezza matura, svincolata dai classici canoni di giovinezza e perfezione fisica.

Il suo segno distintivo sono i lunghi capelli grigio naturale, mai tinti, che sventola come un vessillo di libertà: non un gesto contro la medicina estetica, ma una scelta di coerenza con la sua idea di femminilità e autenticità. Convinta che ogni donna abbia il diritto di affrontare il passare del tempo a modo proprio, Valeria non demonizza chi sceglie di intervenire sul proprio corpo, ma rivendica un percorso tutto suo, incentrato sulla consapevolezza e la celebrazione dei propri anni.

La sua carriera di modella l’ha portata a partecipare a numerose campagne pubblicitarie, sia nazionali sia internazionali, per brand come Bioderma, Clio Makeup, Goovi, Grohe, Mulac Cosmetics, N.A.E., Pantene x Moschino, Poltrone e Sofà, Schwarzkopf – Testa Nera. Queste collaborazioni l’hanno resa un punto di riferimento per le donne “over anta” alla ricerca di uno spazio dove poter esprimere la propria individualità senza vergogna né compromessi.

Sui social network, Valeria condivide la sua esperienza di rinascita e si impegna a dimostrare che reinventarsi da zero è sempre possibile, indipendentemente dall’età o dalle condizioni di partenza. Nel suo percorso, unisce la determinazione tipica della cultura sarda e la volontà di ispirare altre donne a credere in sé stesse, celebrando le proprie rughe e accogliendo la maturità come una nuova stagione di opportunità.

Oggi Valeria Sechi è l’esempio vivente di come la bellezza non abbia scadenza e di come il tempo possa diventare un alleato nella ricerca di un equilibrio tra corpo, mente e ambizioni personali. Con la sua storia, testimonia che la vita non si ferma a quarant’anni (e nemmeno a cinquanta), ma può iniziare, o ricominciare, in qualsiasi momento.


Decalogo di consigli per un consumo tessile più sostenibile

  1. Controlla l’etichetta
    Scopri materiali e provenienza prima di acquistare un nuovo capo.
  2. Punta sulla qualità
    Un abito ben fatto resisterà più a lungo, riducendo i rifiuti tessili.
  3. Ripara e rinnova
    Un piccolo strappo può essere l’occasione per un intervento creativo.
  4. Sperimenta l’upcycling
    Trasforma i capi vecchi in nuovi oggetti di design.
  5. Scegli brand trasparenti
    Dai la priorità a chi dichiara apertamente i propri processi di produzione.
  6. Organizza swap party
    Scambia abiti con amici e famigliari per rinnovare il guardaroba a costo zero.
  7. Visita le sartorie locali
    Supporta l’artigianato: è un alleato prezioso per riparazioni e personalizzazioni.
  8. Acquista in modo consapevole
    Evita gli acquisti d’impulso, scegli solo ciò che ti serve davvero.
  9. Dona ciò che non usi
    Un capo inutilizzato può avere nuova vita nelle mani di chi ne ha bisogno.
  10. Diffondi la cultura del riuso
    Coinvolgi chi ti sta accanto e racconta i vantaggi dell’economia circolare.

 

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